Come vengono svolte le statistiche nello sport

L’analisi statistica negli studi sullo sport

Come vengono svolti molti studi scientifici su salute e sport, perché le conoscenze vengono via via aggiornate, e come difendersi dai falsi proclami.

Metodo e matematica

L’interesse a capire i meccanismi del corpo umano – fisiologici, comportamentali, sportivi – e intervenire per farci vivere meglio accomuna scienziate, scienziati, ricercatori accademici e aziendali. 

A tal fine, potremmo pensare che basti fare come i fisici, che hanno qualche principio primo (la legge di gravità) e deducono tutto il resto (le traiettorie dei pianeti o la caduta di un masso). Eppure, il corpo è un sistema molto complesso: se “togliessimo” un pezzo potremmo causare una reazione in altri organi, magari in maniera totalmente inaspettata. Ad esempio, allenarsi non fa bene solo ai muscoli, ma anche alle connessioni nervose e all’umore – cosa che, se pensi solo alla meccanica del muscolo, potrebbe essere sorprendente.

Per ottenere risultati sensati e sperabilmente applicabili, allora, sono stati sviluppati nel corso dei decenni diversi metodi di studio, che si basano sull’osservazione di campioni statistici, l’analisi matematica dei risultati e l’interpretazione di ciò che si osserva. Il tutto, unito a una costante ricerca di miglioramento.

Esperimenti controllati

Vediamo di schematizzare un po’ quello che è, normalmente, il metodo scientifico seguito da chi fa ricerca.

Si parte identificando un oggetto di studio, una domanda. Non si può studiare tutto subito e tutto assieme, quindi bisogna scorporare i problemi. Ad esempio, ci si può chiedere: “Assumere questa sostanza X aumenta le prestazioni nello sport Y in modo significativo”? (Torneremo dopo su questo “significativo”). Il trucco è, almeno all’inizio, non fare un mischione – tipo chiedersi, “questa sostanza, assieme ad altra roba e mentre faccio la verticale, mi farà vincere la Coppa del Mondo, magari senza allenarmi”? Procediamo in modo analitico, controllato, un pezzo per volta.

Poi si recluta un “campione”: non una persona eccezionalmente brava a gareggiare, ma una selezione di persone che condividono alcune caratteristiche simili, controllate e utili per rispondere alla nostra domanda. Nel nostro esempio, si inizierà reclutando atleti dello sport Y, magari suddivisi per genere (per controllare se l’effetto è diverso tra uomini e donne, ad esempio) e con un controllo sull’età e altre condizioni cliniche. Si eviterà di assemblare indiscriminatamente i primi che passano, perché sarà difficile verificare se l’effetto è “vero” o casuale. 

Questo campione si divide in due: chi davvero riceverà la sostanza X da testare, e chi non la riceverà ma farà comunque i test, per avere un controllo su ciò che succede senza interventi.

Poi si fanno i test – tutti quelli che sono necessari – e si prendono dati (nel nostro esempio, si misurano le prestazioni durante l’attività sportiva).

Quanto descritto a grandi linee sopra costituisce la parte sperimentale del nostro studio. Ovviamente, ogni passaggio è sottoposto a controlli e pareri incrociati di vari esperti, per cercare di minimizzare l’errore umano – eh sì, pure chi fa scienza è umano!

Analisi statistica

La fase successiva prevede l’analisi dei dati. Qui intervengono matematica e statistica – niente paura, vedremo di cogliere l’essenza delle procedure! Questi strumenti hanno due scopi principali: uno, aggregare tutti i dati presi in modo tale da poterli confrontare e interpretare al di là di “pareri”, “opinioni”, “ho sentito un tale che diceva…”, “mi pareva di aver notato che…”; due, determinare la significatività dei risultati

“Significativo” vuol dire che è molto probabile che un risultato non sia dovuto al caso, e che si possa estendere ad altre persone della popolazione (ricordiamo che il campione studiato è un gruppo di persone, non tutta la gente del mondo). 

In pratica, si vuole cercare di distinguere se ciò che osserviamo è capitato una volta per sbaglio, è un aneddoto, oppure potrebbe essere reale, succedere regolarmente.

Torniamo all’esempio di prima. Abbiamo dato la sostanza X a metà del nostro campione, che ha gareggiato nella disciplina Y; pure l’altra metà del campione ha gareggiato, ma senza assumere sostanze. Se tutti gli atleti che hanno assunto la sostanza sono migliorati notevolmente, e gli altri no, è plausibile pensare che la sostanza qualcosa lo faccia davvero. Ma se un atleta che l’ha presa è migliorato, gli altri mica tanto, e pure quelli del gruppo di controllo hanno fatto bene (magari grazie alle condizioni meteo o altro), allora non si conclude nulla. Dire “ah ma un atleta è migliorato, quindi tutti dovrebbero assumere la X”, ha la stessa valenza di dire “eh ma il cugino del postino di mia suocera conosce un tizio che…” – ossia nulla. 

A questo scopo, serve la statistica. È brutta e cattiva e ci sono molti modi per fregarla, ma per fortuna ci sono moltissimi esperti per controllarne il corretto impiego.

Ripetizione e miglioramento

In seguito, altri esperimenti dovranno essere fatti, ripetendo le stesse condizioni ma cambiando il campione, oppure modificando leggermente le condizioni in modo controllato. Questo perché vogliamo che i risultati siano ripetibili, ossia non dipendano da momento particolare o dal luogo in cui sono stati condotti. Solo così saremo sempre più confidenti nel dire “valgono anche per me o per te”, perché li abbiamo testati bene e a fondo. 

Infine, le conoscenze progrediscono studio dopo studio grazie a miglioramenti successivi nei protocolli sperimentali, nella conoscenza delle risposte biologiche, nella selezione del campione (ad esempio vengono arruolate sempre più donne, perché le loro risposte fisiologiche sono spesso diverse da quelle degli uomini storicamente coinvolti per studi di questo tipo). 

Questi passaggi sono molto delicati e un po’ arzigogolati per i non addetti ai lavori, ma sono ciò che distingue la ricerca scientifica dall’aneddotica o dalle pseudoscienze. Per essere considerato degno di nota, un fenomeno deve essere significativo e ripetibile

Capita, a volte, che si confuti una credenza precedente o si sbugiardi un’affermazione basata su dati non ripetibili. Ci sta, fa parte del gioco: non possiamo permetterci di avere già tutte le risposte ed essere infallibili. Ciò che si credeva di sapere può venire aggiornato – e meno male! Faremo meno errori in futuro! Ma in generale ci sono tantissime cose che in natura non si sanno, e progredire un passo alla volta è l’unico modo per fare del bene alla gente e mantenere la fiducia in un processo di conoscenza lento ma costante.

Bibliografia

[1] O’Donoghue, Peter. Statistics for sport and exercise studies: An introduction. Routledge, 2013.

[2] Taylor, J. R. (1997). An Introduction to Error Analysis. Mill Valley, California: University Science Books

[3] Gauch Jr, Hugh G., Hugh G. Gauch, and Hugh G. Gauch Jr. Scientific method in practice. Cambridge University Press, 2003.

[4] Cross, Nigel, John Naughton, and David Walker. “Design method and scientific method.” Design studies 2.4 (1981): 195-201.